La Tunisia avrà una nuova Costituzione, dopo quella del 2014 sorta sull’onda della Primavera araba e aperta, per la prima volta, ad una forma di governo semipresidenziale che assegnava al Parlamento una funzione centrale. Sul fronte politico, la Costituzione del 2014 aveva segnato un’altra riforma interessante: l’affermazione del c.d. “Islam popolare” che, attraverso il partito di Ennahda, aveva contribuito a raffreddare la presa della “Fratellanza musulmana” sulla società e a contrastare l’avanzata dell’estremismo jihadista. Nel frattempo, però, la società tunisina ha subito scossoni importanti, come gran parte dei paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo: l’avanzamento della corruzione e della disoccupazione, l’indebolimento del sistema sanitario nazionale – peggiorato al seguito della Pandemia da Covid-19 – l’impennata del numero dei disoccupati, specie giovani, molti dei quali, plurilaureati, costretti a fare lavori umili e squalificanti.
All’interno di questa cornice è iniziata a montare la protesta, che ha preso di mira innanzitutto Ennahda, incapace – secondo molti – di creare le condizioni politiche e sociali adatte per un vero rinnovamento delle condizioni del paese. Da qui le manifestazioni imperiose del 25 luglio 2021, represse dai vertici istituzionali secondo le classiche modalità dei “governi di emergenza”: Primo ministro esautorato, “congelamento” del Parlamento, ridimensionamento del ruolo della Corte costituzionale. A questo punto, il Presidente Saïed ha deciso – per contenere il caos politico – di istituire una Commissione di esperti a cui affidare la stesura di una “nuova” Costituzione, partendo però – per chiara richiesta dello stesso Presidente – dal rafforzamento dei poteri nelle mani del Capo dello Stato.
I risultati del referendum dello scorso 25 luglio (2022) hanno detto due cose: continua a diminuire la partecipazione dei cittadini al voto (27,5%), stravince il consenso alla volontà per una svolta iper-presidenzialista (92,3%). Si definisce/afferma così il progetto del Presidente Saïed, a cui spetterà stabilire l’indirizzo politico generale della Tunisia. Inoltre, il Governo non dovrà più rispondere delle sue scelte davanti al Parlamento (ma allo stesso Presidente); non si prevedono garanzie democratiche “contro” eventuali abusi di potere da parte dello stesso Presidente (ciò che la nostra Costituzione, all’art. 90, chiama “messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica”); la Corte costituzionale sarà di esclusiva nomina presidenziale. Quanto al diritto di libertà religiosa, questa è garantita a condizione che non costituisca motivo di disturbo della quiete pubblica! L’Islam è religione di Stato, ma il Presidente non potrà non essere musulmano.
La nuova Costituzione, insomma, sarà posta sotto stretto controllo presidenziale. Saïed, però sa bene come le cose possono cambiare velocemente in un paese complesso come la Tunisia. Da docente, tra i più illustri, di diritto costituzionale, ha saputo creare le condizioni per addivenire ad una riforma “stabilita” all’interno di un perimetro di legalità formale. Come uomo politico, però, non può ignorare il consenso, sempre più calante, di larghe fette di popolazione che, in alcuni segmenti sociali e territoriali, potrebbero nuovamente subire il fascino della “Fratellanza”; da qui la necessità di lavorare per rinsaldare buoni rapporti di collaborazione con paesi dell’area impegnati nello stesso sforzo di contenimento dell’estremismo islamico (Egitto, Arabia saudita). Senza dimenticare la nuova emergenza derivante dall’aggressione della Russia all’Ucraina, tenuto conto che il fabbisogno proteico della popolazione tunisina dipende in massima parte dai cereali che arrivano dal quadrante nord-est europeo.
Da questo presidente la società tunisina si aspetta molto. A partire dalla richiesta di tranquillizzare le generazioni più giovani che il “nuovo corso” sarà impostato all’insegna del moderatismo, delle riforme sociali e della tutela dei diritti. Quei giovani che, soprattutto sulla scia della “Primavera tradita”, non vogliono continuare a vivere con la possibilità che il fantasma autoritario (politico-religioso) riprenda il sopravvento, spazzando via riforme importanti, sostenute a vari livelli, specie nelle scuole e nelle università. Ecco, allora, che la svolta presidenzialista ha bisogno di dare spazio a forme di partecipazione dal basso (partiti, sindacati, associazionismo, etc.) libere nella possibilità di esplicarsi senza forme di controllo preventivo in sede politica e religiosa. Senza dimenticare i militari – che, all’interno del mondo arabo, rappresentano una componente poco incline a “scendere a patti” con i principi e i valori della democrazia costituzionale – e i rapporti con l’Europa, partendo dai paesi dell’Europa-mediterranea, come l’Italia, la cui presenza nell’area del nord africa ha bisogno di recupera autorevolezza, dopo anni, quelli più recenti, di ambigua gestione di alcuni dossier ad alto tasso di complessità: immigrazione in primis.