Venti di guerra soffiano, e soffieranno, sull’attualità internazionale. Ben prima che iniziasse il conflitto russo-ucraino, l’Occidente e più specificamente l’Europa, ancor più quella mediterranea che dell’Occidente potrebbe e dovrebbe essere canale di alternativa e robusto vettore critico, si sono ritrovati silenti, manchevoli, messi in parentesi dal precipitare degli eventi. Gli Stati Uniti, tradizionalmente portatori di una forza militare egemonica, hanno stavolta e sin qui preferito giocare la partita dell’intelligence, dimostrando un importante know how strategico nel prevedere le mosse del governo di Mosca, ma una evidente fallibilità nel contrastarle sul campo.
È montato un forte seppur comprensibile scetticismo globale nei confronti delle potenzialità aggreganti e ordinanti dell’alleanza atlantica; la strana posizione di osservatore in campo utilizzata dalla Cina lo testimonia plasticamente. Il governo pechinese, ancora impossibilitato a riorganizzare unilateralmente intorno a sé un nuovo imperialismo planetario, riesce però a far breccia su crescenti dinamiche multipolari. Gli Stati non allineati alle vecchie categorie negoziano volta per volta intese mutevoli, maggioranze deliberanti attendiste, transazioni di interessi geopolitici, energetici, economici, debitori. Ne ottengono così una crescente esclusione dall’applicazione in senso stretto delle norme sui diritti umani. L’Iran, la Turchia, il Brasile, l’India, la stessa Russia, più che mai interessati a questioni interne che rimodulano in senso autoritaristico la gestione del potere e il rapporto con le opposizioni, sono ormai partner il cui ruolo costringe a chiudere un occhio (e spesso due) su quanto di violento avviene pure nei loro confini.
In questo quadro esiste lo spazio per un Mediterraneo di pace che non sia vanagloriosa rivendicazione di idealità generiche e prive di contrappunti pratici? Ci troviamo in un Mediterraneo nel quale, per altro verso, la questione migratoria non è mai stata affrontata né riscrivendone le disposizioni internazionali che la (mal) regolano né utilizzando gli strumenti della cooperazione bilaterale e multilaterale. Quando lo si è fatto, come in Siria e in Libia, anche a mezzo di trattati formalmente vigenti, i risultati sono stati vie più disastrosi. Non si può al mattino lottare per le libertà fondamentali e la sera tollerare la tratta e il traffico degli esseri umani; non si può all’alba indignarsi per i nuovi ras del fondamentalismo mediorientale e al tramonto stipulare accordi coi loro epigoni politici, mantenendo disposizioni di diritto interno discriminatorie e del tutto inadeguate alla governance dell’inclusione sociale.
Per queste ragioni, siamo fermamente convinti che le questioni oggi sul piatto non possano prescindere dal riconsiderare l’attitudine del nostro spazio geografico e politico in termini di trasformazione, studio e conoscenza. Il Mediterraneo, e lo specifico apporto della storia calabrese nel delinearne un immaginario, rappresentano indiscutibilmente lo scacchiere privilegiato per impostare un nuovo discorso, coordinate di sistema.
Il Mediterraneo di pace è quello che sa istituire rapporti paritetici e solidali tra i popoli e gli Stati, anche a prescindere dalle loro organizzazioni sovra-nazionali di appartenenza e che quelle sa anzi fare incontrare, rivivendole e riformandole. È il Mediterraneo che riconosce la libertà di coscienza, pensiero e religione e la pone a fondamento non solo del dialogo cristiano-islamico, ma anche dell’esercizio e del riconoscimento dei “nuovi” diritti civili. Mediterraneo di pace significa non potersi rassegnare a che il “mare tra le terre” sia il tabellone di risiko dove si confrontano le dotazioni militari, ad esempio, di Russia e Stati Uniti, base contro base, a pochi chilometri dalle nostre coste. Non rassegnarsi a che i suoi corridoi siano carovane per merci a basso costo importate o lavorate in Africa con l’investimento attivo dei capitali finanziari dei padroni del mondo. Non fare delle sue genti perseguitati che si inseguono volta per volta lungo rotte precarie, incrociandosi sulle mappe dello sfruttamento coi latino-americani, gli asiatici dell’Estremo Oriente, gli spazi di una inedita e distruttiva sperequazione sociale. Il Mediterraneo di pace è quello che guarda con la giusta attenzione a questi fenomeni e sa trovare dentro di sé i codici per affrontarli: è un Mediterraneo che nulla ha a che fare coi nazionalismi, la propaganda degli odi razziali, il semplicismo sbrigativo di chi arringa i penultimi contro gli ultimi. Il Mediterraneo di pace nasce da qui, il Mediterraneo di pace nasce da noi.
Oscar Greco
Domenico Bilotti