RESOCONTO DELLA SUMMER SCHOOL “LE RADICI CALABRESI DELLA CULTURA MEDITERRANEA” 

Dal 25 al 28 maggio 2022 si è tenuta, presso la meravigliosa sede della Masseria Torre di Albidona (CS), la prima edizione della Summer School “Le radici calabresi della cultura mediterranea”. Grazie alla meravigliosa location, alla cura dello staff aziendale e alla scrupolosità dei responsabili organizzativi, la Summer School si è tradotta, non solo in una esperienza culturale accattivante, ma anche in una occasione di svago e relax per tutti i partecipanti.

La Summer School rappresenta l’evento più importante, su scala annuale, organizzato dall’Associazione “Laboratorio Interculturale Mediterraneo EST” (LIME) il cui obbiettivo è quello di descrivere, con modalità innovative, la cultura calabrese su scala regionale e oltre. La formula prescelta dagli organizzatori è stata quella della partecipazione “aperta”, con una predilezione per i giovani, ma inclusiva anche di persone di varia età ed esperienze.

I temi trattati sono stati diversi, con un filo conduttore, però … il Mediterraneo, nelle cui onde la Calabria si rispecchia e da cui trae linfa vitale.

A dare il saluto inaugurale è stato il sindaco di Albidona, avvocato Leonardo Aurelio, che ha voluto rimarcare l’attenzione della sua amministrazione verso il progetto proposto da LIME e sottolineare l’importanza della collaborazione tra soggetti pubblici e privati al fine di valorizzare le energie diffuse nel sociale, tutte bisognose di trovare sintesi per meglio rispondere alle nuove domande di cittadinanza.

La prima giornata (26 maggio) ha visto cimentarsi i professori Domenico Bilotti (Università Magna Graecia di Catanzaro) e Oscar Greco (Università della Calabria), che hanno trattato la dimensione “teatrale” del mare, e del Mediterraneo in particolare, come sfondo di un linguaggio politico comune. A seguire il prof. Gianfranco Macrì e la dott.ssa Milena Durante (entrambi dell’Università di Salerno) che hanno offerto diversi spunti sulla dimensione “sconfinata” del Mediterraneo quale spazio pubblico per la costruzione di una cittadinanza cosmopolitica. Nel pomeriggio, invece, il prof. Pasquale Annicchino (Università di Foggia) ha toccato un tema nevralgico delle relazioni interculturali, quello, cioè, dell’innovazione, facendosi affiancare, nella sua esposizione, dal contributo, in remoto, del dott. Gennaro Di Cello, membro del board di Entopan, un centro di ricerca attivo in Calabria che si propone di guidare imprese e territori nelle nuove sfide della transizione digitale, tecnologica, verde, circolare, sociale ed economica con un approccio orientato all’innovazione “armonica”. Dopodiché è stato il turno del prof. Lorenzo Zucca (King’s College di Londra), con una relazione ispirata al pensiero di William Shakespeare e alla sua lettura tragica dei fatti umani, che solo la capacità di sintonizzarsi col primato della fratellanza tra umani può lenire e ricondurre in uno spazio di convivenza “possibile”.  

La seconda giornata è stata dedicata al valore del dialogo tra culture e religioni nei contesti secolarizzati. Si sono confrontati sul tema il presidente dell’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia (UCOII), dott. Yassine Lafram, l’Imam di Cosenza e responsabile dell’UCOII in Calabria, Ahmed Berraou, il prof. Salvatore Martino, Direttore del Centro Studi Rossanese “Vittorio Bachelet”, il prof. Domenico Bilotti (Università “Magna Graecia” di Catanzaro) e il prof. Gianfranco Macrì (Università di Salerno). Si è trattato di un momento molto partecipato da corsisti e ospiti, tutti concordi, sebbene con sfumature di pensiero diverse e qualche “voluta provocazione intellettuale”, nel mettere al centro dello spazio pubblico la libertà religiosa, la tolleranza, l’inclusione, la garanzia dei diritti sociali, civili e politici, la convergenza tra “fede e ragione”. A seguire si è invece discusso della centralità del cibo nel discorso interculturale e della consapevolezza di quanto, “grazie al cibo” sia possibile allenare la mente a diventare multiculturale, perché il cibo è convivialità, curiosità, sperimentazione, valorizzazione delle tradizioni. Tra certezze e sorprese in materia di cibo e alimentazione orientata da precetti culturali e religiosi, il prof. Giuseppe Chizzoniti (Università Cattolica di Piacenza) e la dott.ssa Miriam Abu Salem (Università della Campania “Luigi Vanvitelli”) hanno fornito coordinate interpretative sulle capacità “democratiche” del cibo e aiutato a comprendere perché il cibo assume nelle ortoprassi religiose una forte centralità. A chiudere la seconda giornata ci hanno pensato, prima, in remoto, la prof.ssa Irene Canfora (Università di Bari), che ha svolto una articolata relazione sulla nuova governance europea in materia agroalimentare. Dai rischi che possono derivare, in questo importante settore economico per il nostro paese, da un approccio esclusivamente “mercatistico” alle opportunità che, invece, possono scaturire se si adottano approcci di natura etica alle politiche delle filiere alimentarli, la relazione ha offerto ottimi spunti di riflessione e sollecitato diversi interventi da parte del pubblico. Dopo la prof.ssa Canfora, è stato il turno del prof. Giuseppe Sommario (Università Cattolica di Milano) con una lezione tutta incentrata attorno ai risultati di una ricerca condotta in America Latina, precisamente in Argentina, all’interno di molte comunità di immigrati dalla Calabria. Molto apprezzato, in particolare, è stato un video dove sono state proposte alcune interviste a persone di origine calabrese, che hanno raccontato il loro modo di sentirsi, contemporaneamente, argentini e calabresi. La serata si è chiusa con un dopo-cene affidato al Photojournalist Francesco Malavolta. Calabrese e “cittadino del mondo”, Malavolta ha proiettato alcune tra le sue fotografie più note a livello internazionale per raccontare il dolore – e la speranza – sui tanti confini di guerra, in Europa e nelle acque del Mediterraneo.

Sabato 28 è stata la volta del prof. Paolo Apolito, antropologo di fama internazionale, già docente nelle Università di Salerno e di Roma Tre. A lui è toccato il compito di “raccontare” le “radici calabresi della cultura mediterranea”. Utilizzando immagini, metafore e “cunti” di varia provenienza, Apolito ha ricostruito la trama di “queste” radici, sottolineando l’importanza di non rimanere ostaggio di falsi miti identitari, bensì di affidarsi, con animo razionale, al vantaggio che può derivare dalla complessità. Solo così è possibile cogliere il significato profondo della diversità tra culture e la loro convergenza inevitabile.